PREZENTADO DE LA BLOGO


Prezentado de la blogo:

La vortoj havas nek semantikan, nek lingvan limon. Eble ilia unika, efektiva, limsigno estas tiu kiu apartigas la revon de la realeco. En la blogo estas miaj poeziaĵoj, rakontoj, recenzioj, ktp, du-lingve, paralele. Eo estas internacia lingvo kiu naskiĝis en la dua duono de deknaǔa jarcento el ideo de unu homo: Zamenhof. Li esperis, ke per la uzo de neǔtrala lingvo, ĉiuj la lingvaj limoj /kaj ne nur la lingvaj limoj/ inter la popoloj de la mondo estus transpasitaj, finfine.


domenica 3 giugno 2012

"Furore" di John Steinbeck


"Furore" - il titolo originale è The Grapes of Wrath  -  è forse il libro più celebre di John Steinbeck, scrittore americano che ha vinto il Premio Nobel per la letteratura nel 1962.

Lessi questo libro a 18 anni, in pochi giorni. Mi piacque moltissimo per la sua forza evocativa e per la sua contemporaneità sempre verde.

  RECENZIONE

Alcune famiglie contadine, sempre vissute decorosamente, benché assai modestamente, grazie ai guadagni ricavati dai prodotti della terra che coltivano, improvvisamente, con l'avvento della Grande Depressione, si trovano sul lastrico.

Infatti, complice la siccità e il diniego delle banche a concedere prestiti ai mezzadri, una multinazionale ne approfitta per compiere una vantaggiosa speculazione sulle terre; e come risultato finale gli agricoltori verranno cacciati dalle loro case.

Fra queste famiglie, a cui è stato dato il benservito, ci sono anche i protagonisti del romanzo.

Privati del loro pezzo di terra da arare, ai Joads, non resta che andarsene. Ma dove? L'unica meta sembra essere quella già inseguita da migliaia di altri che hanno perso, prima di loro, ogni mezzo per sfamarsi. La destinazione per tutti questi disperati, che non hanno più niente, è la stessa: la California, uno Stato dove - si dice - la terra sia fertilissima, ricca di aranceti e di casette bianche; inoltre si favoleggia che qui sia tanto abbondante da essere regalata a quanti vogliano coltivarla.

Dunque, anche i protagonisti si accoderanno alla transumanza umana, credendo disperatamente all'esistenza del mitico Eldorado a Ovest. La loro credenza è suffragata unicamente dalla lettura di un volantino pubblicitario il quale garantisce ogni promessa, parola per parola. È indubbiamente poco, constatano prima di risolversi a lasciare l'Oklahoma; ma è meglio di niente. Ormai non hanno più né un tetto sulla testa, né pane per lo stomaco. La speranza è il solo luogo dove vivere, il solo nutrimento attraverso cui poterlo fare. Se rinunciassero a un domani migliore, cosa ne sarebbe di tutti loro, grandi e piccoli?

Così, dopo aver radunato le loro quattro carabattole, e averle caricate su un camion sgangherato - unica ricchezza rimasta alla famiglia - decidono di partire.

Il camion, con un'esigua scorta di benzina nel serbatoio e pneumatici in pessime condizioni, arrancando faticosamente dietro molti altri, s'incolonna lungo la Statale 66 con il suo carico di uomini e di cose.

Oltre al padre, la madre e ai tre figli maschi adulti (Tom, appena uscito di prigione; Al e Noè), qui troviamo ammassati i due gemelli di sette-otto anni; la giovane figlia incinta (RosaTea) e suo marito; lo zio John, di una certa età; i due anziani nonni e, da ultimo, Casy un amico di Tom che si è aggregato alla spedizione.

Il viaggio continua fra lutti, privazioni, tremendi imprevisti e speranze puntualmente disilluse.

I protagonisti, lungo il percorso, sperimentano l'ampio spettro dei sentimenti negativi: la paura, la solitudine, il dolore, l'apatia.

Alla base di questa "piramide" rovesciata (poiché, ironicamente, la risalita "sperata" si rivelerà una catastrofica discesa), la faranno sempre da padrone l'emarginazione e la fame. I Joads saranno prima marchiati come forestieri; poi tacciati di rubare il lavoro agli altri; non da ultimo accusati di essere delinquenti e "crumiri".

Alla fine di un viaggio logorante sia fisicamente che pscologicamente per ognuno, l'Eldorado californiano mostrerà la sua vera faccia di specchietto per le allodole.

Il finale - che non svelerò per non rovinare la sorpresa a nessuno - si conclude imprevedibilmente. In qualche modo si ha la sensazione che, con esso, si chiuda un cerchio.

L'autore si eclissa dalla narrazione. La sua voce non si sente mai. Egli non interviene a fustigare certi comportamenti o a compatire le sopraffazioni. Lascia che siano i fatti a parlare, nella loro interezza.

Egli non mitiga il racconto delle privazioni, né tuttavia dimentica di descrivere alcuni moti di "fratellanza" nella desolazione o la bellezza della natura che porta consolazione.

Lo stile di scrittura di Steinbeck è molto scorrevole, all'insegna dei periodi brevi e della concisione espressiva. Il suo lessico è ricco, mai ampolloso.

Nessun commento:

Posta un commento